
Premessa: il libro “Attacco frontale ed ammaestramento tattico” fu pubblicato come circolare n° 191 del 25/2/1915 (quindi 7 mesi dallo scoppio della Grande Guerra) e va ad annullare e ad integrare la circolare 1414 del 14/8/1914 (quindi scritta nei primissimi giorni della Grande Guerra). La definizione di “libretto rosso” deriva dal colore della copertina che rilegava il testo.
Il testo si compone di 62 pagine di formato tascabile 11×16; si compone di tre parti principali
- Parte 1° criteri dell’azione offensiva
- Parte 2° l’azione offensiva in funzione delle caratteristiche del terreno
- Parte 3° ammaestramento tattico
Come molti di noi, già conoscevo l’opera e letto qualche estratto riportato su altri testi. Mi era sempre stato indicato come la base ideologica della limitatissima visione tattica di Cadorna e che su questo testo, (quasi) tutti i comandanti di vario grado, in maniera più o meno critica, si erano dovuti assoggettare nell’impostazione degli attacchi. Fa poi riflettere che Cadorna non aveva pubblicato un testo analogo sulla tattica di difesa. In questa lacuna, ritengo non casuale , si faceva vedere la guerra esclusivamente come un’azione di attacco ignorando di fatto i criteri formali di difesa.
Tuttavia, due avvenimenti distinti ma temporalmente piuttosto ravvicinati, mi hanno spinto a dare una lettura attenta a tutto lo scritto senza basarmi solo sugli estratti.
I due eventi sono stati i seguenti:
- una delle scene inziali del film “War horse” in cui si vede un attacco di cavalleria inglese su campo aperto completamente distrutto da una fila di mitragliatrici tedesche. Vedevo, “mutatis mutandis”, i nostri attacchi sul Carso alla luce del sole ed allo scoperto (magari anche con la fanfara in testa come avvenne effettivamente sul Basson o rappresentato nel film “Uomini contro”)
- In uno dei CD di Paolo Rumiz (“Paolo Rumiz racconta la Grande Guerra”) sulla GG uscito in supplemento a Repubblica fra giugno e luglio 2014 si riporta una frase del generale francese Mangin (detto il bevitore di sangue” o “il macellaio”): “ Signori — pare abbia detto un giorno ai sui ufficiali — attaccheremo domani. La prima ondata sarà uccisa. La seconda anche. E anche la terza. Alcuni uomini della quarta ondata raggiungeranno l’obiettivo. La quinta ondata prenderà la posizione. È tutto”. Una frase molto simile (forse “troppo simile”) viene citata in un altro CD sempre di Paolo Rumiz “L’albero fra le trincee” dallo storico Paolo Zattera che , citando il “libretto rosso” dice “ che le seconde schiere si faranno scudo delle prime cadute”.
Questi due fatti mi hanno così convinto a leggere personalmente il libro per capire se era vera l’idea che mi ero fatto.
Di seguito, quindi, nei virgolettati scriverò le frasi che del testo cadorniano mi hanno più colpito commentate da mie valutazioni personalissime.
Invito comunque tutti a leggere il testo integralmente per farsi una propria idea su un documento che effettivamente ha consegnato alla morte tanti nostri soldati.
Premesse e Parte prima
Le prime 37 pagine (quindi ben più della metà) sono dedicate alle premesse ed ai criteri su come preparare ed eseguire un’azione offensiva.
Il testo si presenta come un susseguirsi di elenchi puntati, anche annidati a più livelli che rendono lo scritto un insieme di regole dando una carattere prettamente scolastico all’opera. E’ chiaro fin dall’inizio che lo scritto rappresenta, con termine moderno, il “Bignami” dell’attacco. Quindi frasi corte, qualche note esplicativa, con l’intento che i comandanti di vario grado studino ed applichino (ed apprezzino) la lezione.
Volendo riassumere in poche parole cosa deve essere l’attacco per Cadorna lo definirei come un’attività da pianificare in dettaglio, da svilupparsi di concerto con le altre forze, essenzialmente l’artiglieria che assume carattere determinante per la riuscita dell’attacco (“Tranne casi eccezionalissimi la fanteria non può arrivare a sferrare l’assalto se prima l’artiglieria non le abbia spianato la via spezzando con l’impeto e la massa del suo fuoco, ogni resistenza avversaria nella zona ‘irruzione” e nelle Conclusioni “Diventa indispensabile per l’attacco di assicurarsi l’assoluta superiorità di fuoco nella zona progettata di irruzione”), nell’ottica del risparmio delle forze (intese come uomini più che come colpi) il tutto corredato da una totale fede dei soldati verso i superiori e di questi verso le direttive impostegli. Tutto il capitolo, poi, è riempito di banalità ( “dovranno mantenersi le truppe quanto più possibile coperte alla vista ed al tiro del difensore”; con l’indicazione “tanto innovativa quanto geniale” di “attraversare i tratti scoperti..alternando sbalzi celeri a brevi soste nella posizione a terra” oppure “quando la fanteria attaccante dovesse esporsi a troppo grandi perdite ..potrà approfittare della notte per raggiungere quelle posizioni” per finire con “approfittare di tutte le zone defilate dal tiro nemico per rimettere le truppe in mano ai capi riordinandole…”)
Dove però, almeno formalmente, mi sono sentito sorpreso è al punto V (pagina 29) in cui si tratta che “Bisogna aver sempre presente l’economia delle forze”. Il concetto è espresso in maniera chiara anche su come impiegare le riserve (purtroppo molte volte lettera morta):”(le forze) vanno scaglionate in profondità –in quantità maggiore nella zona dell’attacco decisivo- a distanze variabili, in guisa che ogni riparto non venga battuto dal fascio di traiettorie che investe quello che lo precede. In ogni scaglione bisogna fare assumere le formazioni che meglio conciliano la speditezza della marcia con la minore vulnerabilità”. Inoltre sono citati come due errori che, invece, furono commessi entrambi a Caporetto:” Occorre energicamente reagire contro la tendenza di portare innanzi tempo sulla linea di fuoco rincalzi e scaglioni retrostanti,….,occorre altresì reagire alla tendenza a mantenere le riserve tanto lontano dalla linea di fuoco che, giunto il momento di farle intervenire nella lotta, vi arrivino o tardivamente oppure vi arrivino affannate e stanche”
Fin qui pur nella sua estrema banalità il concetto è ineccepibile: l’attacco è pianificato in dettaglio, esiste una preventiva cooperazione con l’artiglieria che deve seguire i movimenti della fanteria (e non viceversa) e i rincalzi sono fatti affluire nei punti più bisognosi.
A mio modo di vedere, però, ci sono tre pecche di base che mettono in contrasto ciò che è l’obiettivo finale di cui sopra con quello che si legge come regole e prescrizioni:
1) pur citando chiaramente la situazione sul fronte occidentale dove i due eserciti si sono sprofondati in trincee, riafferma che “..l’attacco frontale come quella (azione) che in pratica più viene impiegata-ne danno prova tangibile le guerre che si stanno combattendo….e nella esecuzione della quale s’incontrano difficoltà minori di quelle che a tutta prima appariscono quando –ben inteso- sia condotta con sano criterio”. Poco più avanti si riafferma: “Dove la guerra si è come immobilizzata sopra enormi fronti di centinaia di chilometri e le forze che si fronteggiano si sono interrate entro robustissimi trinceramenti formidabilmente muniti, ivi sembra che una tenace difensiva possa prevalere sull’offensiva…… uno dei due contendenti sferrerà l’offensiva che sola è capace di conseguire risultati decisivi: sarà per sempre la manovra che deciderà le sorti della guerra.” Quindi pur avendo chiaro cosa sta succedendo sui fronti, la sua unica risposta è l’attacco frontale. Nessun altra indicazione di cose diverse. A suo discolpa però devo dire che questa pratica mi sembra comune agli eserciti dell’epoca (offensiva Nivelle su tutte) e solo quello Germanico con le Sturmtruppen cercava di indicare che esisteva qualcosa di diverso. Anzi anche se parla nelle Conclusioni che “l’arte consiste nel prontamente scoprire i punti difettosi della posizione da attaccare “, questa possibilità non viene sviluppata in nessuna maniera successivamente.
2) Una serie continua di contraddizioni. Viene detto una cosa ma subito dopo viene espresso concetto opposto e quindi, in definitiva, ognuno leggeva nel testo quello che più voleva (generalmente un massacro di soldati per dimostrare la propria vigoria!):”Sola è feconda in manovra quella libertà d’azione che si esplica entro l’ambito degli ordini superiori assecondandoli; oltrepassarli significa disobbedire e l’obbedienza -base incrollabile della disciplina militare- non tollera restrizioni o menomazioni di sorta”. Penso quindi con che serenità di animo e pensiero un ufficiale o graduato poteva quindi cogliere al volo dell’opportunità dato che il disubbidire era molto più stigmatizzato della libera scelta. Oppure poco avanti “iniziatasi l’avanzata della fanteria nelle zone delle medie distanze(1000-600m) le mitragliatrici, manifestandosi l’opportunità, entrano in azione senza consumar troppe munizioni”. Tuttavia nella parte finale si dichiara che: “Diventa indispensabile per l’attacco di assicurarsi l’assoluta superiorità del fuoco nella zona prescelta per l’irruzione”
3) Una dose di retorica che poi farà dire a qualcuno che “i reticolati si spezzano con i cuori ed i denti” che quindi esaltano vieppiù gli esaltati ma non danno alcun spunto utile a chi li vorrebbe. Infatti: “E’ indispensabile mantener viva la fede nella sua riuscita e nella efficacia della baionetta, per infonderla nei gregari e trascinarli impavidi traverso la zona tempestata di proiettili nemici, per conquistarvi il lauro della vittoria.” E qui vedo il cerchio chiudersi con la frase inziale del capitolo:” in cui: “la salda disciplina degli animi…. Rende la massa docile ed obbediente”. Insomma si ricada nel grande equivoco: massa docile ma pronta a correre impavida fra i proiettili… i problemi dei soldati a mio modo di vedere nascono proprio da queste due inconciliabili richieste.
Quindi concludendo il primo capitolo nella sua estrema banalità dei concetti indica che l’attacco deve essere con impeto ma imponendo il risparmio degli uomini. Ben lontano dalle frasi di Mangin.