Sono le prime ore del mattino del 29 giugno 1916. Il capitano Gabrielli osserva dalla Cima Quattro del San Michele le linee nemiche: tutto è calmo, non un colpo di artiglieria, non uno di fucile. Improvvisamente, appena passate le cinque, davanti alle trincee ungheresi comincia a sollevarsi un denso fumo giallognolo che avanza lentamente verso le postazioni italiane: un soldato urla „Signor capitano…i gas asfissianti!“, l’ufficiale risponde „Beh, non impressionatevi, non è nulla…“
E’ il primo attacco sferrato con l’ausilio dei gas sul fronte italiano: le nubi di cloro-fosgene liberate dagli Honved ungheresi provocheranno oltre 6.000 morti e 4.000 gassati.
L’impiego dei gas durante la Grande Guerra rispose alla necessità degli alti comandi di stanare i nemici da postazioni non conquistabili con i mezzi convenzionali, in un contesto di una sempre più logorante guerra di posizione.
I vari tipi di gas impiegati durante il conflitto sono raggruppabili a seconda degli effetti in tre categorie principali:
COMPOSTI IRRITANTI: lacrimogeni ed irritanti delle vie respiratorie; di per sé non mortali, causavano tosse, vomito e starnuti che costringevano il soldato a togliersi la maschera, lasciandolo senza protezioni da altri gas letali
COMPOSTI SOFFOCANTI: tra questi ricordiamo il cloro (causava tosse, soffocamento, dispnea e morte per edema polmonare) il fosgene e i suoi derivati (sintomatologia a carico degli apparati respiratorio e cardiovascolare, portava a morte entro tre giorni) e la cloropicrina (con effetti simili al fosgene ma più rapidi, colpiva anche la cornea)
COMPOSTI VESCICATORI: dall’alto potenziale corrosivo, erano in grado di attraversare sia le maschere antigas che le uniformi, causando gravi lesioni alla cute, agli occhi, alle mucose respiratorie; a questo gruppo apparteneva la celebre Iprite.
Il trattamento standard di primo soccorso per i soldati colpiti dai gas prevedeva l’immediato allontanamento dalla zona contaminata, il lavaggio dell’uniforme con liquidi neutralizzanti e il trasporto a strutture assistenziali specifiche evitando al gassato qualsiasi sforzo muscolare e soprattutto respiratorio
La dotazione sanitaria del soldato italiano comprendeva anche le maschere antigas, distribuite in vari modelli durante il conflitto; tra questi ricordiamo la MASCHERA MONOVALENTE „Ciamician-Pesci“, costituita da dieci strati di garza imbevuti di soluzione neutralizzante basica, era progettata per resistere al cloro e veniva adoperata insieme agli occhialini antilacrimogeni; la MASCHERA POLIVALENTE, derivata dalla M2 francese e adottata nel 1917 in sostituzione della monovalente (rivelatasi tragicamente inefficace al fosgene sul San Michele), si costituiva di un facciale di tela gommata con lenti di celluloide che copriva un tampone di 32 strati di garza imbevuta in soluzione neutralizzante; il respiratore inglese „SBR“ (Small Box Respirator), adottato in seguito all’insuccesso della polivalente nella Conca di Plezzo, composto da una maschera in tela cerata, boccaglio, tubo di gomma flessibile che terminava alla scatola filtro metallica contenuta nella apposita sacca.
