Questo è il racconto di Gianni Pieropan, storico veneto scomparso recentemente, relativo agli ultimi concitati momenti della conquista del Passo della Sentinella da parte delle truppe italiane. Il suo racconto è desunto da scritti del capitano Sala e testimonianze dirette dell’attacco.

«… Alba del 16 aprile: trenta gradi sotto zero, cielo tersissimo, silenzio sepolcrale.
Sulle forcelle, a 3.000 metri, gli uomini trattengono il respiro, nell’ansia spasmodica dell’attesa.
Ed ecco, con le prime luci che appena sfiorano le vette, alzarsi il sipario dell’ultimo atto d’un dramma grande quanto lo scenario che lo ospita.
Sul Pianoro del Dito si muovono dei bianchi fantasmi: sono le due squadre di scalatori del “Fenestrelle” guidate dall’aspirante Lunelli e dal sottotenente Leida, silenziosamente arrampicatesi lassù durante la notte.
Poco più indietro, sulla Selletta che raccorda il Pianoro alla massa di Croda Rossa, è un’altra squadra di alpini e di minatori, col sottotenente Masserano.
Addossata alle rocce basali del Pianoro stesso, appena defilata alla vista del Passo imminente, sosta immobile la compagnia del “Fenestrelle” comandata dal sottotenente Del Mastro.
Scendendo lungo il Vallon Popera, al riparo del Sasso Fuoco, ecco ancora una compagnia di fanti col capitano De Marco e il tenente colonnello Gazagne, che dirige l’azione. Più indietro ancora, di riserva, una compagnia di bersaglieri.
All’osservatorio di Creston Popera ecco infine il generale Venturi e, nei pressi, gli artiglieri di fazione ai loro pezzi.
Lassù al Passo la vedetta austriaca pigramente conta i passi lungo il suo profondo trincerone, butta uno sguardo sul Vallone, scorge le piste tracciate durante la notte, getta l’allarme, spara.
Dal ciglio del Pianoro rispondono gli alpini, coi fucili e le bombe a mano.
Dal Sasso Fuoco s’arrampica nel cielo un razzo rosso, è il segnale d’inizio.
Tuonano i cannoni del Creston Popera, si scopre d’improvviso il miracoloso cannoncino del Monte Popera, “il cannone che sparava dalle stelle”, s’uniscono al coro le grosse batterie di Monte Croce Comelico: lo spettacolo è di una grandiosità indescrivibile.
Cima Undici sta spettatrice per un attimo, poi gradatamente si rivela: la mitragliatrice di Forcella della Tenda apre il fuoco sul Passo inchiodandovi il nemico. Forcella Da Col non risponde al telefono, la mitragliatrice ed il lanciabombe issati lassù ancora tacciono, che mai succede? Senza esitare il capitano Sala s’arrampica lassù e dirige personalmente il fuoco delle armi sul Passo, sulla Croda Rossa e sui rovesci delle posizioni austriache, facendovi rotolare le torpedini che scoppiano con pauroso fragore. Gruppi di austriaci provenienti da Val Fiscalina s’affacciano all’imbocco del vallone che conduce al Passo, ma vengono subito bloccati e respinti dal fuoco accelerato proveniente congiuntamente da Forcella Da Col e dal Pianoro del Dito. Altri allora si precipitano dal Passo lungo il ripido canalone di accesso e fuggono pel nevaio affidando la loro salvezza alla velocità della corsa.
Ora le mitragliatrici di Cima Undici alzano la traiettoria e sparano su Croda Rossa onde bloccarvi gli avversari installati lassù che potrebbero, portandosi dall’Osservatorio sulla cima, colpire con tiro diretto dall’alto gli alpini del Pianoro. Essi occuperanno la cima solo tre giorni dopo e questa trascuratezza degli austriaci è spiegabile soltanto con la sicurezza che essi avevano di non essere molestati in nessun caso e tanto meno da Cima Undici.
Son quasi le 13, la luce è abbacinante, le crode fiammeggiano al sole di primavera; i difensori del Passo più non reagiscono, ogni difesa appare debellata, è il gran momento.
Dai roccioni basali del Pianoro muove sul ripidissimo pendio nevoso il sottotenente Martini, col plotone d’avanguardia. Già dalle 9 intanto gli alpini di Cima Undici hanno iniziato la discesa pel vertiginoso canalone che piomba verso il Passo e il plotone di De Poi si è attestato su alcune rocce affioranti una settantina di metri più in alto del Passo, esplorando il terreno sconosciuto: seguire ancora il canalone significherebbe infatti obliquare sulla destra del Passo e precipitare in Vallon Popera, in tal modo fallendo l’azione. Ora invece l’itinerario appare chiaro, l’alpino Dal Canton risale tutto solo a Forcella Da Col per darne notizia al capitano Sala, che scende a sua volta con un secondo plotone comandato dal sottotenente Jannetta. Ai roccioni i reparti si uniscono per lo scatto finale.
Ora i cannoni tacciono, si quietano le mitragliatrici, tutto è fermo, il tempo stesso pare voglia trattenere il suo ritmo per l’attimo conclusivo. Eccolo: balza sul Passo il sottotenente Martini, seguito dai suoi uomini al grido di “Savoia!”. Pistola in pugno, penetra nel trincerone, vi giace immoto un austriaco, nessun altro; scende pel budello, ecco una porticina nella neve nascosta a sinistra, nelle rocce di Cima Undici (i resti sono visibili ancor oggi). Martini la spalanca, intima la resa, escono esterrefatti sette austriaci. Nel medesimo istante piombano dall’alto, autentica valanga umana, scivolando e rotolando nella neve, i bianchi barbuti Mascabroni. Il Passo della Sentinella è conquistato»…
L’impresa era stata ultimata, la grandiosa organizzazione alpinistico-bellica aveva ottenuto il risultato previsto, quasi senza alcun intoppo.
