Associazione culturale di rievocazione storica

Oreste Jacovacci e Giovanni Busacca

 Roma e Milano, due grandi città molto diverse tra loro, due modelli di vita spesso opposti con inevitabili ed innumerevoli luoghi comuni origine di interminabili sfottò tra gli abitanti della città del Tevere e quella dei Navigli.
Il romano Oreste Jacovacci e il milanese Giovanni Busacca non sfuggono certo a questi scontati stereotipi ma riescono quasi magicamente a liberarsene fondendosi nella riuscita rappresentazione del soldato che vestì la divisa grigioverde nel triennio 1915-1918.
La calamita che li attira alla vita è davvero potente e li induce a cercare ogni stratagemma per tentare di riportare a casa la pelle.
La guerra li travolge ed inevitabilmente la subiscono cercando di farsi coinvolgere il meno possibile, riuscendo però a mantenere sempre quel poco di umanità che la terribile vita di trincea vorrebbe distruggere. Non odiano il nemico, sanno che è uno come loro con una divisa diversa e lasciano che beva l’ultimo caffè prima di sparare, rinunciano ai soldi raccolti per consegnarli alla moglie del soldato Boldrin alla quale non hanno il coraggio di dire che non lo rivedrà più.
Vivono una vita anonima, priva di slanci, tesa a mimetizzarsi per evitare ogni sofferenza che però troverà un’inaspettata e clamorosa svolta proprio quando la fine di tutto è quasi a portata di mano. Moriranno da veri eroi ma nessuno conoscerà mai il grande spessore delle loro vite. E se Giovanni affronterà la morte con dignità Oreste, il romano sempre pronto ad ogni stratagemma per cavarsela, morirà tremando e nascondendo la nobiltà del suo animo sotto i panni del vigliacco, alibi sempre adottato per sperare di rivedere il suo Tevere.
La “Grande Guerra” di Monicelli riesce a fondere magnificamente commedia e tragedia e rende onore al sacrificio di quegli uomini ormai lontani cent’anni dai nostri giorni.
Tra le tante a me resta nel cuore la scena in cui Giovanni saluta Costantina non sapendo che sarà l’ultima volta mentre Oreste affonda beatamente la faccia tra i generosi seni della balia, l’ultima volta in cui la calamita della vita cercherà, purtroppo inutilmente, di attirarli.

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