
Premetto che quanto segue è stato estratto dai libri di Luciano Viazzi, dalla rivista dei Verdi “L’Alpino”, da Agno Berlese, valoroso capitano combattente nella Grande Guerra e prematuramente scomparso nel 1950 e dalla rivista “Aquile in guerra”, edita dalla società Storica per la Guerra Bianca, di cui lo stesso Viazzi è stato presidente per molti anni.
Penso che tutti abbiano usato parlando la frase: “è stata una Caporetto”, per definire uno smacco, una débacle, una grave sconfitta, una situazione incresciosa. Ma vi sono altri modi di dire derivati proprio dalla Prima Guerra Mondiale che sono tuttora usati, senza che magari se ne sappia il significato.
Ad esempio “girare le palle“, modo di dire per esprimere il fastidio, la scocciatura per una data situazione, la cosiddetta rottura di scatole. Bene, ecco la spiegazione. Anche Germania e Austria avevano firmato le varie “Convenzioni di Ginevra”. Una di queste specificava che le armi individuali, fucili e pistole, non dovevano sparare proiettili esplosivi. Ciò nonostante, nei due stati vi erano fabbriche che producevano di queste pallottole, che causavano ferite indescrivibili, alle quali difficilmente un soldato colpito poteva sopravvivere. Se un soldato di quelle nazioni veniva catturato ed aveva nelle giberne dei caricatori contenenti tali pallottole, veniva subito passato per le armi. Lungo il fronte sono stati trovati simili colpi non sparati per terra: chiaramente uno che fosse stato fatto prigioniero, se in possesso, cercava di sbarazzarsi di tali colpi. Agli Italiani, che non avevano in dotazione questi colpi, il fatto di sentire i colpi nemici esplodere vicino non garbava affatto ed avevano adottato la contromisura: estraevano la pallottola dal bossolo e la reinserivano girata, con l’ogiva all’interno del bossolo. Se questa colpiva un bersaglio con la parte inferiore (ricordo che erano formate di piombo con camiciatura in maillechort, lega di 80 parti di rame e 20 di nichel, che non copriva il fondo) la stessa si espandeva al contatto, novello precursore del proiettile dumdum dei tempi più recenti. Quindi il significato di “girare le palle” era prettamente letterale.
Più sopra ho usato la frase “rompere le scatole“. Anche questa è di derivazione bellica. Infatti i caricatori del vecchio fucile Vetterli-Vitali, che fu in dotazione anche durante la guerra alla nostra Milizia Territoriale (con la sua sciabola-baionetta era lunghissimo ed ho delle foto in cui si vedono nostri piccoli fanti trascinare quasi il calcio per terra) erano contenuti in scatole di cartone e che quindi, quando veniva dato l’ordine di far fuoco, questo era preceduto dal comando “rompete le scatole“.
Ma chi potrebbe sospettare che la denominazione “locali a luci rosse” derivi proprio dal primo conflitto mondiale? Nacquero in Friuli ed ebbero questo nome proprio dal fatto di avere una lampadina rossa sopra la porta. Ma non si pensi che i lupanari o “casini di guerra” fossero tutti eguali. Quelli per gli ufficiali, dove la “merce” era più scelta, avevano una lampadina blu!