
Ci sono volte in cui un viaggio programmato per alcuni scopi prende una svolta imprevista
e allora, se possibile, dovremmo lasciarci trasportare, togliendo ogni timone e àncora per vedere come e dove si può arrivare. Il furgone corre lungo una strada stretta cercando faticosamente di attraversare la spessa nebbia di una fredda mattina di dicembre. Con la mano cerco di togliere l’umidità dal vetro per vederci meglio ma serve a poco.
Siamo in Croazia ai confini con la Bosnia dove la vita corre in modo completamente diverso da quello a cui sono abituato, qui i paesi non sono come i nostri : poche case lungo la strada, nessuna piazza, nessun campanile o chiesa a dare loro una identità. Nomi difficili scritti su cartelli gialli che passano veloci senza lasciare traccia nella memoria e boschi e campi governati da una natura che opera apparentemente senza ordine. Ma è proprio questo ad attirare la mia curiosità, ho sempre avuto sete di piccole storie, di realtà diverse da quelle che incrocio ogni giorno e così guardo con occhi curiosi questo mondo così distante dal mio. Le case sono piccole e simili, quasi tutte senza intonaco, con i mattoni a vista, da qualche finestra filtra una luce che illumina povere stanze. Galline pecore e cani sono gli unici esseri viventi che ci guardano passare e nei cortili fangosi file di panni stesi assorbono l’umidità del mattino.
Siamo nel cuore del vecchio continente ma il contrasto tra la mia Europa e questa è impietoso e confesso che non me l’aspettavo e allora inizio a pormi delle domande. La mia vita corre su binari solidi, non mi manca nulla e spesso i miei desideri puntano verso l’inutile, uso tutto con la rapidità imposta dai ritmi frenetici di un orologio che corre a velocità doppia consumando subito ogni cosa e poche volte ho il tempo di guardare dentro me per capire se la rotta che cerco di imporre al mio veliero mi permetterà, come spero, di doppiare Capo Horn o se i venti capricciosi del destino mi porteranno dove vogliono loro strappando le vele sottili dei miei desideri. E mi chiedo cosa penserei e quali sarebbero i binari della mia vita se fossi io dall’interno di queste povere case mentre guardo quel furgone pieno di italiani passare lungo la strada.
Sono domande che non prevedono risposta e così arriva il momento in cui i veri motivi di questo viaggio tornano a galla e con la carabina in spalla affronto l’impegnativa salita di una collina abitata da una fitta faggeta. Di solito salgo con il mio passo ma per cercare di non perdere contatto con i compagni rompo subito il fiato e mi trovo in difficoltà. Dopo un po’ mi si affianca il capocaccia, un uomo piccolo e veloce che avrà dieci anni più di me. Mi guarda e sorride facendomi capire che vuole portare lui il mio zaino. La lingua ci separa, come un confine invalicabile e parlare non serve, non posso accettare la sua proposta ma lo sguardo dei suoi occhi chiari e la sua mano sulla mia spalla sono la risposta alle domande di prima: forse, in questo mondo, esistono modi e velocità di vita diverse ma il cuore degli uomini che lo popolano, in fondo, batte sempre nello stesso modo.