In tutte le guerre che il nostro Paese ha affrontato, molti under 18 hanno combattuto con valore sui campi di battaglia, alcune volte perfino arruolandosi con documenti falsi o mentendo sulla loro reale età. E se tutti abbiamo sicuramente sentito parlare dei ragazzi del 99, che al fronte andarono al compimento del 18 anno d’età, pochi sanno che anche quindicenni hanno combattuto. Raccontando la loro storia ho pensato di rinnovare il loro ricordo attraverso queste poche righe. Sono sicuro che ne esistono molti altri, ma io ho saputo trovarne solo pochi. Dell’ultimo piccolo eroe – la cui storia ho personalmente trovato più toccante tra le altre – solo un ritaglio di giornale. Niente di più.

I ragazzi del 99
“Li ho visti i ragazzi del ’99, andavano in prima linea cantando. Li ho visti tornare in esigua schiera, cantavano ancora !” (Armando Diaz)
Le giovanissime reclute della classe del 1899 furono precettate quando non avevano ancora compiuto diciotto anni. I primi contingenti, 80.000 circa, furono chiamati nei primi quattro mesi del 1917, e frettolosamente istruiti, vennero inquadrati in battaglioni di Milizia Territoriale. Alla fine di maggio furono chiamati altri 180.000 ed altri ancora, ma in minor numero, nel mese di luglio. Ma i primi ragazzi del 99 furono inviati al fronte solo nel novembre del 1917, nei giorni successivi alla battaglia di Caporetto. Il loro apporto unito all’esperienza dei veterani si dimostrò fondamentale per la vittoria finale.

Vittorio Montiglio
“Caro papà, se mi denunci o mi fai tornare nel Cile, senza che io abbia combattuto per l’Italia, io mi ammazzo” (messaggio del quindicenne Vittorio Montiglio al padre, al momento della partenza per l’Italia)

Vittorio nacque in Cile nel 1903 a Valparaiso, nel lontano Cile, da una famiglia italianissima emigrata in America Latina dopo lo scoppio del primo conflitto mondiale. Ultimo dei quattro figli del Conte Montiglio di Montiglio, Console Italiano in Cile, i suoi fratelli parteciperanno anche loro al conflitto mondiale subendo ferite con mutilazioni permanenti.
Un primo tentativo di arruolamento viene vanificato dalla scoperta, in Consolato, della vera età dell’aspirante volontario (siamo alla fine del 1915, non ha ancora 13 anni, anche se di fisico robusto e di altezza superiore alla media), senza che, per questo, Vittorio si dia per vinto. Dopo qualche mese, nell’agosto del ’16, raggranellati i soldi per il viaggio, scappa di casa, raggiunge fortunosamente Buenos Aires, e da lì si imbarca con altri italiani portando con sè documenti falsi per arruolarsi come volontario della classe 1899,
Lo aspettano cinquantatré giorni di mare, come mozzo, che non possono non riportare alla mente, all’incontrario, il viaggio di Marco, l’indimenticabile protagonista “Dagli Appennini alle Ande” di Deamicis, fino allo sbarco a Genova.
Da qui, il fanciullo, che non sa dove andare, e non parla nemmeno un decente italiano, raggiunge, a Casorzo, nel Monferrato, la casa del nonno, quasi novantenne che, con contadino scetticismo, commenta: “Mio figlio finirà per inviare a combattere anche i bambini da latte!”
Bambino forse, ma determinatissimo: utilizzando i falsi documenti che già gli hanno consentito l’espatrio, Vittorio si presenta al Distretto di Casale, e viene arruolato, con destinazione – e qui c’entrano i maneggi del nonno – al “tranquillo” 7° Reggimento di Artiglieria da Fortezza, distaccamento di Canelli.
In tre mesi Vittorio prende parte a ben 43 pattuglie notturne, 12 colpi di mano e 5 azioni “importanti”, guadagnandosi l’incondizionata stima dei commilitoni, e una proposta di medaglia di bronzo che, nella confusione di Caporetto, andrà persa.
Il destino ha, però, in serbo per lui qualcosa di diverso da una pur “ardita” routine trincerista: una Circolare dello Stato Maggiore prevede l’obbligo per tutti i militari del ’99, in possesso di requisiti minimi, di frequentare il Corsi Allievi Ufficiali, e, nonostante la ritrosia a lasciare la prima linea, anch’egli deve presentarsi alla Scuola di Parma, perché i suoi falsi documenti proprio quell’anno di nascita, il 1899, indicano.
Mesi anche noiosi, da ottobre del’17 a febbraio del ’18, nei quali si impegna nello studio teorico delle materie “militari”, fino all’assegnazione, come “Aspirante” ad un Battaglione di marcia nel Vicentino. Anche qui, però, gli manca l’azione, alla quale soprattutto aspira, tanto da spingerlo, con inaudita audacia, a scrivere al Generale Giardino: “Io non ho attraversato l’Oceano e due Continenti per stare nelle retrovie. Voglio l’onore della prima linea”.
Viene accontentato: a marzo del 1918 è al 7° Reggimento Alpini, Battaglione Monte Pelmo, dove lo raggiunge la promozione a Sottotenente di complemento, con anzianità 16 maggio 1918, a 15 anni compiuti da pochi mesi, cioè, anche se nessuno lo sa.
Con la promozione, un nuovo trasferimento, l’ultimo questa volta: al Btg Feltre, sempre del 7° Alpini, nel Reparto Arditi, il che gli consente di mettersi in mostra in spericolate azioni notturne oltre le linee.
Il 23 ottobre è ferito da una granata nemica; ricoverato in Ospedale, appena ha sentore dell’inizio della battaglia finale e decisiva, fugge nascondendosi in una “carretta di Battaglione” per raggiungere il suo Reparto.
Giusto in tempo per partecipare agli ultimi furiosi combattimenti di Marco il 2 novembre , e per rendersi protagonista di un’azione memorabile: lui, Ardito Apino, monta a cavallo e fa, in 10 ore di galoppata ininterrotta, 100 chilometri, per raggiungere un Reparto rimasto isolato e senza ordini; dopodichè torna al Feltre, ed entra con i suoi uomini a Trento.
Si guadagna così la prima proposta di medaglia d’argento:
“Ferito, abbandonava di sua iniziativa l’Ospedale dove era ricoverato, raggiungendo il suo Battaglione, ove riassumeva il comando del Plotone Arditi, col quale prendeva parte all’attacco dello sbarramento di Serravalle-Marco (Val d’Adige)“.
Durante tutta l’azione comportavasi in modo ammirevole, facendo risaltare il suo ardire ed il suo grande spirito di sacrificio. Ad azione ultimata, quantunque gli venisse imposto il riposo, offrivasi volontariamente per prendere il collegamento col IV Gruppo Alpino, percorrendo da solo oltre 100 chilometri a cavallo” (Serravalle-Marco-Trento, 2,3,4 novembre 1918)
Nel 1925 verrà decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare per le sue ardite ed eroiche azioni in Italia – Coni Zugna, Battaglia del Solsitizio e Vittorio Veneto – e in Albania nel 1919. E’ la più giovane MOVM della Grande Guerra.
“Nato nel lontano Cile, da famiglia italiana, educato ad alti sentimenti di amor patrio, l’animo conquiso dagli eroismi e dai sacrifici della nostra guerra, la cui eco giungeva a lui attraverso le lettere dei due fratelli volontari al fronte, quattordicenne appena lasciò la casa paterna e sprezzando pericoli e disagi venne nella sua Patria. Nascondendo colla prestanza del fisico la giovane età, si arruolava nell’Esercito, e, dopo ottenuta l’assegnazione ad un reparto territoriale, per sua insistenza, veniva trasferito ad un reparto alpini d’assalto, ciò che era nei suoi sogni e nelle giovanili speranze. Sottotenente a quindici anni, comandante gli arditi del battaglione “Feltre”, partecipò con alto valore ad azioni di guerra, rimanendo ferito. Di sua iniziativa abbandonava l’ospedale per partecipare alla grande battaglia dell’ottobre 1918, nella quale si distinse e fu proposto al valore. Tenente a sedici anni, fu inviato col reparto in Albania, dove, in importanti azioni contro i ribelli, rifulsero le sue doti d’iniziativa, non fiaccate dalle febbri malariche dalle quali venne colpito. Nella stessa località, nelle insidiosi correnti del Drin, dava prova di elevata sensibilità umana e di civili virtù. Magnifica figura di fanciullo soldato, alto esempio ai giovani di che cosa possa l’amore alla propria terra”.
Italia-Albania, giugno 1917-giugno 1920

Vittorio parteciperà all’Impresa fiumana con i Legionari di D’Annunzio. Tornato in Italia richiederà e otterrà il trasferimento in Aeronautica, iniziando il corso di pilotaggio a Ghedi. Qui, Vittorio verrà aggredito da una banda di comunisti – Vittorio Montiglio fondò alcune sezioni che si trasformarono poi in Fasci di Combattimento – che lo feriranno gravemente, offendendogli la mano sinistra e non permettendogli più di prendere il brevetto da pilota. Amico fraterno di Guido Keller, morirà con lui nel 1929 in un incidente d’auto insieme a Giovanni Battista Salina.
Alberto Riva di Villasanta
Alberto, classe 1900, nasce e cresce a Cagliari in una famiglia nobile di stampo militare.
Figlio del Maggiore Giovanni Riva di Villasanta, Comandante della Brigata Sassari, decorato con due MAVM e caduto in combattimento a Monte Fior nel 1916, nipote del Tenente Alpino Antonio caduto ad Adua nel 1896 e cugino di 3 fratelli caduti tutti nella Grande Guerra (Ten. Antonio Costa, Magg. MAVM Carlo Costa e S.Ten. MAVM Giovanni Costa), Alberto fuggirà di casa appena diciassettenne per arruolarsi volontario.
Assegnato al 90° Reggimento Fanteria, combatterà in prima linea sul Piave e sull’Isonzo. Dopo aver frequentato con successo il corso Ufficiali e promosso S.Ten. a 17 anni, sarà assegnato all’8° Reggi. Bersagliere. Indosserà le fiamme cremisi. Ardito.
Decorato durante la Battaglia del Solsitizio con una Medaglia d’Argento al V.M., combatterà arditamente per la Vittoria finale e cadrà mezz’ora prima dell’Armistizio, il 4 Novembre 1918, alla testa del suoi arditi dell’Ottavo al Trivio Paradiso, a soli 18 anni.
Era destino che l’ultimo Caduto nella Grande Guerra e l’ultimo Eroe dovesse essere il più giovane e il più puro.
Motivazione MAVM.
“Nelle operazioni per la conquista dell’Isola Caserta, sul Piave, alla testa di un plotone di arditi dava prova di grande arditezza e di alte virtù militari, disimpegnando un delicato compito affidato al suo reparto e cooperando a respingere furiosi contrattacchi dell’avversario“.
Piave,14-15 agosto 1918

Motivazione MOVM conferita motu proprio da S.M. Re Vittorio Emanuele III.
“Adolescente ancora, trasse volontario alla guerra assumendone i rischi maggiori. Comandante gli arditi di un reggimento bersaglieri, fu valoroso fra i valorosi. Delle più rischiose imprese, primo a chiedere l’onore, spesso prevenne l’ordine con l’esecuzione, ed al suo reparto, provato ad ogni cimento, fu ognora esempio di sublime eroismo. Con fede ardente nella vittoria, nei giorni che precedettero l’offensiva della riscossa riuscì a trasfondere nei suoi uomini quella forza ed energia combattiva che fu consacrata sul campo da una magnifica gara di eroici ardimenti. Nel passaggio dei Piave e della Livenza, respinti, con infrenabile ardore, violenti contrattacchi, sempre primo fra i primi, bello di sublime furore, seppe con audace fermezza trascinare le sue truppe in vari travolgenti assalti, sbaragliando ovunque il nemico. Pochi istanti prima della cessazione delle ostilità, infrante in un supremo attacco le disperate difese avversarie, cadde gloriosamente sul campo, esempio magnanimo di sacrificio per la grandezza della Patria“.
Piave – Livenza – Tagliamento, 27 ottobre -4 novembre 1918.
La figura eroica del S.Ten. MOVM Alberto Riva di Villasanta fu esaltata da D’Annunzio nel suo stile:
“Chi sono gli eroi del paradiso? […]
Ecco un giovane Italiano, ecco un adolescente, Alberto Riva della casata di Villa Santa, un italiano di Sardegna, diciottenne. Suo padre era caduto nella battaglia il 7 giugno 1916. Quattro dei suoi consaguinei erano caduti nella battaglia. Al suo fianco un suo fratello era stato ferito. E non gli bastava. Stirpe più che ferrea silenziosa sublimità sarda,eroismo dalle labbra serrate, sacrifizio senza parola. L’isola non s’è rinsaldata al continente? C’è tuttavia il Tirreno tra noi e quel masso d’amore? Al passaggio del Piave, al passaggio della Livenza, questo fanciullo aveva operato prodigi, conducendo il reparto d’assalto dell’ottavo reggimento bersaglieri. Il 4 novembre all’ora precisa dell’armistizio, cadde anch’egli alla testa dei suoi arditi, colpito nell’atto del balzo, per spingere la vittoria più lontano, per più accostarsi a quelli che ci aspettavano, a quelli che ancora ci aspettano.
Aveva diciott’anni anni. Ha diciott’anni anni. Ma è il nostro capo.
Tutti lo seguiremo. Ditelo! Gridatelo!”
Alberto è sepolto a Redipuglia accanto a suo padre.
Nel vecchio Sacrario su Colle Sant’Elia i due erano sempre sepolti uno accanto all’altro ed era presente un’epigrafe che recitava:
“Guardami il petto Babbo e sii contento” – “Alberto più che mai di Te fiero mi sento” – “E la povera Mamma lasciata tutta sola?” – “Un’altra Madre, Italia, di noi la racconsola”.
Roberto Sarfatti
Roberto, classe 1900, appartrneva all’alta borghesia veneziana di origine ebraica. Primogenito di Cesare, Avvocato, e Margherita, futura amante di Mussolini. Bellissimo e colto, irrequieto e romantico, dopo essere stato espulso da diverse scuole del Regno si ritroverà a studiare a Bologna.
Sin dagli albori ardente interventista, Roberto troverà a Bologna lo slancio per concretizzare i suoi ideali: il 23 Maggio 1915, da 13 giorni appena quindicenne, alla mobilitazione di Re Vittorio Emanuele III Roberto risponde Presente!: ossessionato dall’idea che la Guerra possa finire prima che lui possa parteciparvi, chiede il permesso ai genitori di arruolarsi come volontario e come Alpino.
“Non si può fare per nove mesi impunemente l’interventista per rimanere a casa nel momento buono. Io non andrò in guerra per uno stupido desiderio di distinzione o di avventura, io ci andrò perché così vogliono la mia coscienza, la mia anima, le mie convinzioni. Perciò dammi il tuo permesso e me lo dia la mamma, se no sento che, con mio grande dolore, ne farei senza, e andrei a farmi uccidere, forse senza il vostro permesso e la vostra benedizione… “
Il permesso, per ovvie ragioni, non giunse. Nell’estate del ’15 il quindicenne Roberto si arruola volontario nel 35° Regg. Fanteria Pistoia, sotto falsa identità e favorito da un fisico prestante e più muscoloso rispetto alla media dei coetanei.
Scoperto e rispedito a casa, il padre Cesare lo iscrive all’Istituto Nautico di Venezia permettendogli di partecipare, a fine anno scolastico, a un lungo imbarco che lo porterà lontano da casa per due anni e dall’altra parte del mondo.
Compiuti i 17 anni, età utile per prestare servizio nel Regio Esercito, nel luglio del ’17 Roberto ripresenta domanda di arruolamento come volontario negli Alpini, 6° Reggimento Alpini, Battaglione Monte Baldo. Pur essendo titolare di un titolo di studio che gli permette di essere ammesso al Corso Ufficiali, vi rinuncia per essere subito destinato in prima linea. Le sue parole scritte al padre Cesare esprimono il suo entusiasmo:
“Il giorno della partenza è venuto. Viva l’Italia

Il crollo del fronte a Caporetto spinge il diciassettenne Roberto, con i suoi commilitoni, a richiedere l’anticipo della fine del corso d’addestramento. Il 30 Ottobre il suo reparto riceve l’ordine di raggiungere la zona di combattimento. Il 21 Novembre si ritrova in zona di guerra, alle pendici del Monte Fior e vicino al Sasso Rosso. Per oltre due mesi, Roberto dimostra il suo coraggio distinguendosi per ardimento ed entusiasmo combattendo con un gruppo di Fiamme Verdi, azioni che lo porteranno a ricevere una promozione a Caporale per meriti di guerra.
Il 28 Gennaio del 1918, dopo una licenza trascorsa a Milano ridotta da lui stesso per raggiungere il prima possibile il fronte, si ritrova in azione per la conquista di Quota 1039, Battaglia dei Tre Monti, Altipiano di Asiago.
I primi ad avanzare sono gli Arditi, seguiti dal plotone d’assalto del battaglione di Roberto. Una mitragliatrice arresta momentaneamente gli italiani. Urlando agli Arditi di seguirlo, Roberto si lancia verso il luogo da cui partiva il mitragliamento. Una pallottola lo colpisce in pieno viso, stroncando all’istante la sua giovane vita. Leggenda vuole che un compagno tagliò una ciocca dei suoi capelli insanguinati per inviarla alla madre Margherita.
Per il suo eroismo, il Caporale Roberto Sarfatti fu decorato con la Medaglia d’Oro al Valore Militare con seguente motivazione:
“Volontario di guerra, appena diciassettenne, rientrato dalla licenza ed avendo saputo che il suo battaglione si trovava impegnato in una importante azione contro formidabile posizione nemica, si affrettava a raggiungere la linea. Lanciatosi all’attacco di un camminamento nemico, vi catturava da solo 30 prigionieri ed una mitragliatrice. Ritornato nuovamente all’attacco di una galleria fortemente munita, cadeva mortalmente ferito”.
Case Ruggi (Val Sasso), 28 gennaio 1918.
Nell’agosto del 1934 il corpo, inizialmente sepolto in una fosse comune, fu ritrovato per essere poi traslato all’Ossario di Asiago. La madre Margherita commissionò al celebre architetto razionalista comasco Terragni la costruzione di un monumento da dedicare al figlio, monumento che sarà realizzato nel punto esatto in cui l’Eroe cadde.
Dorina Mentil
Nata a Timau nel 1905, sin dall’inizio della guerra 15-18 Dorina seguì le orme della madre: Portatrice Carnica.

Con il papà al fronte impegnato tra le trincee sassose del Carso, in compagnia della mamma – l’eroina Maria Plozner in Mentil – delle ragazze e delle donne del paese, sin da giovanissima Dorina con pesanti gerle sulle spalle trasportava munizioni, vettovaglie, medicinali da portare nelle retrovie e in prima linea.
Gli automezzi non potevano circolare sulle mulattiere. I muli non erano mai sufficienti per i servizi. I ragazzini venivano chiamati per rimpiazzare i Caduti, i dispersi e i feriti. Le donne dei paesi limitrofi alle linee del fronte – già private dei loro uomini e sulle quali gravava la tenuta della famiglia, della casa e delle stalle – sentirono di dover “fare qualcosa” e risposero all’invito del Genio e della Logistica con: Andiamo, altrimenti quei poveretti muoiono anche di fame.
Dorina fu un di queste. Per ogni viaggio le spettava una lira e cinquanta. Con la gerla in spalla pesante dai 30 al 40 Kg, lei e le altre Portatrici Carniche portavano munizioni e granate, formaggio duro e farina per la polenta, coperte e medicinale per i soldati che lassù combattevano e morivano. Capitava che al ritorno dovessero trasportare in barella i feriti o caduti in combattimento.
“Quando tuonava il cannone avevamo tanta paura ma andavamo ugualmente. Chi avrebbe portato altrimenti il cibo a quei poveretti?”
Dorina fu una Portatrice Carnica come sua mamma, unica vittima tra le 1101 Portatrici Carniche della Grande Guerra e decorata con Medaglia d’Oro al Valore Militare con seguente motivazione:
“Madre di quattro figli in tenera età e sposa di combattente sul fronte carsico, non esitava ad aderire, con encomiabile spirito patriottico, alla drammatica richiesta rivolta alla popolazione civile per assicurare i rifornimenti ai combattenti in prima linea. Conscia degli immanenti e gravi pericoli del fuoco nemico, Maria Plozner Mentil svolgeva il suo servizio con ferma determinazione e grande spirito di sacrificio ponendosi subito quale sicuro punto di riferimento ed esempio per tutte le “portatrici carniche”, incoraggiate e sostenute dal suo eroico comportamento. Curva sotto il peso della gerla, veniva colpita mortalmente da un cecchino austriaco il 15 febbraio 1916, a quota 1619 di Casera Malpasso, nel settore Alto But ed immolava la sua vita per la Patria. Ideale rappresentante delle portatrici carniche, tutte esempio di abnegazione, di forza morale, di eroismo, testimoni umili e silenziose di amore di Patria. Il popolo italiano Le ricorda con profonda ammirata riconoscenza.”
La Medaglia d’Oro al Valore Militare concessa alla madre fu appuntata al petto di Dorina nel 1997 dal Presidente Scalfaro, in occasione del suo 92° compleanno e dell’inaugurazione del monumento dedicato a sua madre, alle Portatrici carniche e ai loro immensi sacrifici.
Solo nel 1980 alle Portatrici Carniche ancora in vita furono riconosciuti i benefici per i combattenti della Grande Guerra e insignite dell’onorificenza dell’Ordine di Vittorio Veneto.
“Sole o vento, pioggia o neve, con il peso sulle spalle la corona del Rosario tra le mani, mamme e ragazze sulle più alte vette son salite a portare un aiuto ed una parola di conforto ai soldati che combattevano. Donne piene di coraggio che giorno dopo giorno hanno visto in faccia la morte. Donne forti dei nostri paesi, con amore la Patria hanno servito. Donne con i volti segnati dal sudore, piegate dalle fatiche, in silenzio hanno vissuto le orrendità della Prima Guerra Mondiale. Tutto ciò hanno sopportato, per noi hanno lavorato, pianto e pregato affinché non dovremmo mai più rivivere una guerra.”
Giordano Patriarca
Mostro direttamente il ritaglio di giornale in cui questo giovanissimo eroe è descritto. Non ho trovato altro su di lui.
