
E così siamo giunti al centenario della Prima Guerra Mondiale, anche se per noi in Italia scadrà il prossimo anno. Dichiarammo infatti guerra agli Imperi Centrali solamente il 23 maggio 1915, rigettando un trattato che vorrei definire anti-storico, trattato che contemplava un nostro intervento esclusivamente nel caso che una delle nazioni contraenti fosse stata aggredita, cosa questa che proprio non si verificò nel nostro caso.
Tutti sanno come si arrivò a quel fatidico agosto 1914, quando nessuno si sarebbe aspettato una tale catastrofe. Il 28 giugno Gavrilo Princip, giovane aderente alla Mano Nera, setta nazionalista serba, soltanto per un colpo di fortuna, dato che il corteo di Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria, in visita a Serajevo, a causa di disordini e di una bomba che, scoppiata in ritardo, ferì degli spettatori e il colonnello Merizzi che era alseguito dell’arciduca, fu deviato in altro itinerario, riuscì ad esplodere due colpi di pistola contro la carrozza del nipote di Francesco Giuseppe e ad uccidere lui e la moglie Sofia Chotek. Questa fu la scintilla che fece iniziare la Grande Guerra. Un inaccettabile ultimatum fu imposto alla Serbia, alleata della Russia. Pian piano, per un gioco di alleanze, quasi tutte le nazioni del mondo si schierarono dall’una o dall’altra parte. Anche San Marino dichiarò guerra agli Imperi Centrali, senza però mobilitare un esercito, ma inviando, sembra, dei volontari al fronte. Ed anche le nazioni dell’America Centrale dichiararono guerra a Germania e Austria-Ungheria.
Ormai siamo entrati nel clima dell’avvenimento e i media hanno già cominciato a “bombardarci” con articoli di stampa e servizi televisivi. La RAI l’anno prossimo dedicherà uno spazio giornaliero per presentare dibattiti, filmati ed episodi sul e del conflitto. Per questa ragione non voglio anch’io addentrarmi in un contesto al quale, volenti o nolenti, dovremo ben presto assuefarci. Inoltre moltissimi storici e scrittori si cimenteranno nel descrivere, nello spegare o tentare di spiegare ragioni, motivi e cause di quella, per i tempi, immane strage, anche se sappiamo che la Seconda Guerra Mondiale causò molti milioni di morti in più. Nel mio piccolo non mi sento proprio all’altezza e così ho pensato di raccogliere in breve spazio episodi anche spiritosi, pur nel tragico contesto. Gli Alpini, in particolare, hanno sempre saputo cogliere il lato comico quasi in ogni situazione: innumerevoli sono gli episodi che confermano quasta mia asserzione. Episodi che forse all’inizio non erano comici, ma che lo divennero.
Sentite questa. Cantore, il nostro vecio, non era certo farina da far ostie e in molti frangenti lo dimostrò. Animo focoso, per niente indulgente, né verso sé stesso né verso gli altri, poco prima dell’inizio della guerra quando era ancora colonnello, vide un giorno, durante delle esercitazioni, un soldato che appoggiato al parapetto di una trincea, non dava proprio l’idea di partecipare troppo alle manovre. Avvicinatosi quatto quatto, gli appioppò un calcione nel c… Non l’avesse mai fatto! Si prese un po’ di giorni di arresti! Aveva scalciato un generale!
Altro episodio divertente all’inizio, ma rivelatosi tragico nel prosieguo per chi ne fece le spese. Siamo sul Cristallo, non in Dolomiti ma poco lontano dal Passo dello Stelvio. Le posizioni tra i due contendenti distano una cinquantina di metri l’una dall’altra. Tra gli Austriaci vi era una linguaccia, uno slavo che parlava veneto come un veronese, una lingua che più ironica, insolente e feroce non si poteva. La Swartzlose sgranava il suo rosario di morte spesso e lo slavo urlava “Fora l’aquila!”, intendendo con ciò il fregio dei copri capo alpini, e dietro a lui tutti i suoi commilitoni con sghignazzate e urla. Potete immaginare quanto gradissero gli Alpini tali manifestazioni: sentirsi dileggiare e per di più in dialetto! Un mattino il tenente che comandava la nostra posizione vide un alpino aprirsi una feritoia nella neve della trincea e nel pomeriggio posizionarsi col suo ’91 puntato verso il cavo della teleferica che portava i rifornimenti ai dirimpettai. “Che fai, tiri alle oche della Val Venosta?” Risposta: “A ciape el cugnac!”, e uno dietro all’altro sparò tre caricatori. “Ho messo diciotto pallottole nel loro barilotto di cognac e stanotte berranno camomilla!” Dopo un po’ un altro barilotto fu visto salire lungo il cavo della teleferica ed allora tutti gli Alpini cominciarono un tiro a segno mai visto. In breve il nuovo barilotto fu ridotto ad un colabrodo. Uno poi cominciò ad urlare: “Trinken, trinken muso di vacca!” Dopo qualche giorno in cui furono presi di mira anche i sacchi del pane, lo slavo cercò di parlamentare, chiamò, supplicò, si scusò delle insolenze. Da quel giorno i tirolesi non spararono più, temendo la ritorsione: a 3430 metri, con più di 20 gradi sotto zero, restare senza cognac e cibo non era proprio sopportabile. La morale tratta da questo episodio da parte del tenente fu: siamo tutti uomini e dobbiamo sempre essere gentili, perchè tutti abbiamo un barilotto di cognac appeso ad un filo di teleferica.
Il Piccolo Lagazuoi subì ben 5 scossoni a causa di altrettante mine, 4 austriache ed una italiana, che cambiarono l’aspetto della parete che dà sul Passo Falzarego. Alle 22.10 del 22 maggio 1917 con un tremendo boato scoppiò la terza mina austriaca, provocando la distruzione totale della trincea avanzata della Cengia Martini, prospiciente la cengia austriaca. Non solo, ma anche saltarono in aria la Guglia, il Gendarme e il Dente Filipponi, nostre posizioni di prima linea. Anzi, quest’ultimo si adagiò sulla Cengia, fornendo un ottimo sbarramento contro eventuali attacchi austriaci. Le artiglierie AU iniziarono a battere la Cengia con tutti i calibri, facendo staccare ancora roccia dalle pareti sovrastanti. Ma conosciamo gli Alpini! Appena dopo lo scoppio, senza attendere ordini, scattarono sulle sconvolte prime linee, aprendo un vivace fuoco sulle antistanti posizioni austriache e bloccando sul nascere ogni velleità di attacco. Poi vi fu una specie di pellegrinaggio alla Cengia da parte di Alpini che non avrebbero dovuto esser lì – facevano parte del battaglione Pieve di Cadore -, ma tutti volevano controllare di persona l’accaduto. Poco dopo una fanfara, la fanfara del battaglione Val Chisone, iniziò un deridente concerto a base di Marcia Reale e un canto sempre più forte cominciò ad udirsi: “E tu Austria che sei la più forte, fatti avanti se hai del coraggio”. Ci voleva ben altro per abbattere l’animo alpino!
E resto nella zona per ricordare una cosa curiosa, tuttora ammirabile all’ex villaggio italiano posto sotto Cima Bòs. E’ un posto bellissimo, solatio e riparato dalle intemperie, che conserva ancora il fascino dell’epoca in cui fu costruito. Certo, è ormai un cumulo di ruderi, che però lasciano intravedere e comprendere come fosse al tempo della nostra occupazione. Tra l’altro esistono moltissime fotografie che ce lo mostrano durante il tempo della guerra. Per chi tornasse da qualche gita – Castelletto, Val Travenanzes, Cima Bòs – comporta una breve deviazione sulla destra scendendo da Forcella Bòs, pochi metri dopo il bivio del sentiero che giunge dal Castelletto. Dopo un centinaio di metri in piano, lungo una traccia che una volta era mulattiera ben ampia, ci si trova davanti agli imponenti ruderi e sulla destra di un grande edificio vi è una bellissima vasca da bagno in cemento. Si dice che il maggiore Ettore Martini, comandante del Val Chisone, dopo che gli riscaldavano l’acqua, facesse il “bagnetto”. La cosa non è controllabile, ma, se è vera, ve lo vedete lì immerso, mentre magari tutt’attorno rimbombavano le esplosioni di granate e il ta-ta-ta di qualche mitragliatrice? Fegato alpino.
E che dire di quanto successe il primo giorno del nuovo anno 1916 nella zona dell’Adamello? Il fatto che riporto è raccontato da Antonio, uno dei tre valorosi fratelli Leidi, sopravvissuti tutti alla guerra al contrario dei quattro fratelli Calvi. Egli narra che dalle nostre posizioni, una volta tanto dominanti quelle austriache, fu lasciata scivolare nella neve una grande scatola cilindrica che aveva contenuto un grosso panettone, vuota naturalmente, con all’interno una bottiglia di champagne, chiaramente vuota anche questa. Anche Attilio Calvi ricorda l’episodio, dicendo però che la scatola era sì vuota, ma che aveva all’interno un biglietto con su scritto: “Abbiamo mangiato il panettone”. Ma la versione più accreditata, narrata da quella irriverente, spiritosa e caustica penna di Gian Maria Bonaldi, tenente degli “sconci”, è che i nostri Alpini, facendo il giro tra loro, riempirono la scatola con i loro escrementi, e potete facilmente comprendere cosa successe nelle sottostanti trincee austriache non appena scoperto il contenuto della scatola! Bonaldi, soprannominato “la Ecia”, la vecchia, per via di un imponente naso, tipo timone di barca a vela, di occhiali dalle lenti spessissime e di un mento appuntito, il tutto ricoperto un giorno di bufera da una sciarpa tutt’attorno al viso, con sopra piantato il cappello alpino, ricorda che l’opera fu del battaglione Morbegno in Conca Mandrone. Ma ecco la descrizione del fatto da parte della “Ecia”: “Gli Alpini presero una scatola di quelle rotonde dei panettoni, come si usava allora, e la riempiron di tutto quello che loro sovrabbondava e, dato che digerivano bene, la faccenda fu presto sbrigata. Lasciata fuori una notte fu un blocco solo, non precisamente di profumeria Coty. Così, poichè davanti a loro il pendio era uniforma e ben liscio, mollarono la scatola sulla neve, per modo che rotolò proprio davanti ad una delle ridottine che gli Austriaci avevano scavato davanti a dei laghetti. Il “tognino” che si trovò di fronte a simile marmellata, dato che non aveva la maschera antigas pronta, quasi restò soffocato. Ci scaraventarono addosso tante cannonate da far passare la voglia ai profumieri improvvisati, ma le risate durarono un’intera settimana, tanto più che il caporale Gilardoni, capo profumiere non so se per esperienza o per quantità di materia fornita, mise fuori un cartello con su scritto: PREMIATA FABBRICA DI PANETTONI GILARDONI & C:”
Qui mi fermo, ma solo per problemi di spazio, in quanto tutta la storia degli Alpini è permeata di episodi curiosi e spiritosi e ne potrei citare ancora moltissimi. Come ho già detto seppero sorridere anche nelle situazioni più tragiche. E ricordate che se un Alpino vi guarda male, con sguardo torvo, non ce l’ha con voi, ma è solo perchè ha… sete.