Associazione culturale di rievocazione storica

Memorie di guerra di Menaldo Taccolo – Puntata 16

Disponiamo a Selva la riserva, base di rifornimento della batteria, per viveri, l’acqua, le bombe, la posta. Dobbiamo perciò affidarla anch’essa a qualche uomo di fegato che la faccia funzionare anche sotto i bombardamenti.
Partiamo per la cima del Montello, con carrette tirate da muli, le bombarde da postare in due doline presso la Chiesa dei SS. Angeli (che sarà il luogo della più tremenda lotta nel giugno) fra le strade n°8 e n°10.
Il Montello – che doveva essere per la pianura trivigiana quel ch’era il Grappa per la pianura padana – è tutto solcato da strade longitudinali, che sono state numerate, perché ci si possa orientare nel labirinto della fitta vegetazione. Molte acacie, qualche bosco ceduo, e molta, molta vegetazione di basso fusto; numerose e profonde doline. Scende rapido, o digrada dolcemente, al Piave che lo bagna a nord.
Vedo dal nostro posto Nervesa, già centro deposito della nostra Arma, ora tutto un ammasso di rovine, che nella battaglia del giugno sarà annientata. Ricordo quando vi sostai, in attesa di assegnazione alla batteria: quanti avvenimenti, e come dolorosi per la Patria; e quanto tempo, d’allora; mesi, settimane, o secoli ?
C’è acqua, sul Montello, fortunatamente; e i soldati col loro fiuto tutto trovano. Già adocchiano, viti, peschi, meli, qua e là.
Sul colletto che ci defila, sopra la nostra batteria, c’è una casa sforacchiata, sfondata, ma che andrà benone, usando prudenza, per nostro osservatorio. Da essa vediamo il Piave – che ora scorre chiaro e placido sul letto ghiaioso – e tutta la piana di Sernaglia, che dovrà da noi essere battuta insieme con gl’isolotti del Piave, avendo la nostra batteria, come linea direttrice di tiro, Fontigo.
Cominciamo il lungo lavoro di postazione, lungo, gravoso, perché le 240, dato il loro peso e forma di lancio, hanno bisogno di postazioni solide, robuste, su terreno ben pestonato, altrimenti ai primi colpi la bombarda affonda o s’inclina da una parte, e allora addio precisione di tiro – mentre noi ci teniamo ad esser bravi tiratori !
La batteria su sei pezzi viene così divisa: quattro pezzi in una dolina al comando del Capitano Marucci, due in un’altra dolina al mio comando. Così anche questa volta io mi trovo solo, isolato come all’Ortigara.
Costruiamo gallerie e riservette per le bombe che tutte pulite e ingrassate attendevano l’ora dell’impiego.
Una volta postata, con molto lavoro, la batteria, dobbiamo cominciare i tiri d’inquadramento, da fare saltuariamente, a spizzico, per non svelarci anzitempo. Sulle bombarde abbiamo steso delle frasche, ed abbiamo mascherato piazzuole e altro, per occultarci agli aeroplani, i quali ogni tanto riescono a passare e si mettono a roteare, in qualche punto per loro importante, come falchi.
La truppa è animata da fieri propositi. Peccato che quasi tutti stiamo male fisicamente perché affetti da dissenteria con lieve febbre. Che fare? Il nostro capitano, arcigno secondo i casi, ma dal cuore di padre, prende una netta decisione. Abolizione per due giorni del rancio, e somministrazione a sue spese, ai febbricitanti, del latte, che ha mandato a cercare dovunque colle carrette. Così la truppa si ristabilisce, e dal medico facciamo analizzare l’acqua e scegliere quella che dà più affidamento di purezza.
Nel mattino stabilito per l’inizio dei tiri d’inquadramento attendevamo al telefono l’ordine, e quando tutto era pronto, ecco in batteria il signor maggiore che domanda notizie, guarda i pezzi, ed esclama: “Queste bombarde non sono piazzate per battere Fontigo e per spaziare ai lati quanto permette loro il settore di tiro: chi è stato quel cretino che le ha piazzate e orientate così ?”.
Risoluto io mi faccio avanti con negli occhi un lampo d’ira – come mi dissero poi i colleghi – ed esclamo: “Io, Signor Maggiore”.
“Va bene. Se le bombarde non sono orientate come io ne ho dato l’ordine, la deferirò al tribunale.”
Accidenti, dico fra me e me; che debba proprio finir fucilato ?
Ma ero calmo, tranquillo, di ciò che avevo fatto, perché sicuro di non aver errato.
Il buon capitano Marucci, venuto dalla Cavalleria, aveva dato a me, più pratico in tema di postazioni e aiutato per natura da un colpo d’occhio invidiabile, l’incarico del piazzamento, e si era completamente “fidato”. All’udire però questa scarica, cambiò colore, pensando, certo, oltre che alla mia, alla sua responsabilità di comandante della batteria; e appena poté mi sussurrò: “Ma Taccola, che hai fatto ?”. Ed io: “Nulla, stia tranquillo. Vedremo chi ha ragione e se ho errato pagherò !”
Saliamo all’osservatorio col signor maggiore, trasmetto i dati di tiro alla batteria. Il capitano attende trepidante l’esito della prova, con cui dovrebbe essere battuta in pieno Fontigo.
“fuoco !” esclamo nel microfono a un certo momento.
Un rombo assordante, e sei bombe, come grossi uomini volanti, s’innalzano nel cielo, quasi a perpendicolo. Le bombe nella loro traiettoria sono visibilissime, e la traiettoria è così alta, la ricaduta così verticale, che si possono battere gli angoli morti come con i mortai d’artiglieria. Dopo brevi istanti, le mie bombe calano con fragore lacerante, che si propaga in echi lontani, sopra Fontigo ! Una prende in pieno la chiesa, al centro del paese, le altre si sparpagliano fra le case sfondando e devastando.
La vittoria è mia. Il Maggiore osserva, fa una smorfia di contrarietà, e si volge per allontanarsi in fretta. Io però gli domando se desidera sia ripetuta la salve di batteria. “No” dice secco, “il tiro va bene e non occorre, né è prudente svelarci”.
Il capitano mi guarda sottecchi tutto soddisfatto, e a mensa chi fa le spese della conversazione è il maggiore.

I giorni trascorrono tranquilli. Sembra che la guerra sia lontana, o un sogno; un incubo di sogno. Le notti serene di questo giugno già caldo invitano alla meditazione, alla poesia, alla vita ! Sovente, quasi ogni giorno, saliamo alla casa che è il nostro osservatorio più vicino alla batteria (ne è stato fatto un altro a casa Serena, ove andremo, se sarà necessario, durante la battaglia, e ove pure saliamo talvolta) e da qui, trasognati, rapiti dalla quiete e dalla bellezza del luogo, ascoltiamo il mormorio del fiume che scorre placido, nella sua chiarità cristallina e pura, ché le sue acque sono appena scese dal monte, non ancora tocche e inquinate dall’uomo. Il cielo trapuntato di stelle (le ore notturne sono le preferite per questi vagabondaggi) fa da cappa allo scenario delle montagne sacre alla Patria, sulle quali è stato fermato il nemico, mentre credeva, sperava di straripare nella pianura, come un torrente che ha rotto gli argini.

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