
E’ stato un addio doloroso. La batteria, gli ufficiali, i soldati coi quali si è tanto sperato e disperato, combattuto, sofferto. E’ come lasciare la nostra vita, tanto ormai quella era divenuta normale per noi. Addio gloriosa 357^ !
Al mattino seguente, salutato da un aeroplano nemico che getta bombe su Selva, partenza. Raggiungo il mio nuovo destino. Sono assegnato alle batterie autotrasportate.
I giorni, le settimane, scorrono veloci. Alloggiamo in una bella villa vuota e passiamo le ore tra passeggiate e istruzioni.
La guerra è ancora una volta lontana, ma lo spirito la sente come sempre. Giungono le prime vaghe notizie che presto tenteremo una grande offensiva per stroncare il nemico e indurlo alla resa. Pochi giorni dopo, infatti, comincia la preparazione intensa: un passare continuo di nuove artiglierie e di munizioni, un intensificarsi della nostra esplorazione aerea. La truppa è pronta e tutto è predisposto per il grande urto.
E noi ci avviamo coi pezzi, montati su grossi pesanti autocarri, al nostro settore che è verso il Ponte della Priula. Però sul primo siamo di riserva.
La battaglia è scatenata. Il Grappa è tutto un vulcano. L’attacco nostro insistente martellante vuole il successo, e quando noi non ce l’aspettiamo, ecco la truppa che comincia, davanti a noi, a passare il Piave su ponti di barconi.
Ci dicono che hanno, i nostri, sfondato nella piana di Sernaglia e che il nemico è in rotta.
Comincia l’inseguimento fantastico, ma la soddisfazione non è per noi, ché quando passiamo i ponti, le truppe leggere e l’artiglieria da campagna hanno già fatto molta strada in avanti. Il nemico ormai non lo vedremo più in combattimento, ma solo attraverso le colonne infinite degli sparuti prigionieri, che sembrano contenti della fine della guerra, quale ch’essa sia.
Nei paesi e città che riconquistiamo, grosse strisce sui muri danno l’evviva ai ritornanti. I liberati ci raccontano storie incredibili di miserie, soprusi, vergogne. Solo chi aveva consentito ai desideri del nemico, specialmente se donna, s’era mantenuto in essere con un po’ di adipe, gli altri e le altre, fiere ed oneste come tutte sarebbero dovute essere, sono sfiniti, annientati.
La cavalleria, i bersaglieri, i fanti, inseguono l’esercito in fuga. Noi, invece, nonostante la nostra motorizzazione, seguiamo passivamente senza nulla poter fare. I fiumi son troppi e i ponti per noi occorrono troppo robusti.
Si ripassa il Tagliamento, e il pensiero ricorda il tragico passaggio dell’ottobre 1917: qual differenza e quanti avvenimenti in un anno !
Alla sera partiamo, in attesa di ordini.
Passa S.A. il Duca d’Aosta, il quale parlando col suo aiutante di campo dice: “L’armistizio è stato concluso, domattina alle sei termineranno le operazioni.” Sarà vero ? Avremo ben capito ? Il sogno che diventa realtà ? La vittoria, dunque, e con essa la vita ?
Quale dono !
Avevamo capito giusto. All’alba cessarono le ostilità.
Ai morti degli ultimi istanti, così vicini alla vita, alla pace, alla vittoria, da sentirne quasi il profumo, si concentra il pensiero devoto. Sia pace splendida, anche, e più, per essi !
Due testine birichine e vivaci allietano e sconvolgono ormai la mia casa. Gli anni sono fuggiti veloci, e i sogni della giovinezza, vissuta nella guerra, sono per me luminosa realtà.
Come tacitamente m’ero ripromesso se fossi tornato, ho condotto voi, cari figli, a vedere i luoghi del sacrificio, a dodici anni dalla vittoria. Anche se tutto è cambiato d’allora, le tombe innumeri vi avranno fatto riflettere come si serva la Patria e a qual prezzo la si difenda.
Siate dunque buoni cittadini, conservatevi nella religione dell’onestà amando non per viltà la pace, ma come un tesoro, un bene che quando s’è perduto, si può comprendere appieno.
Per voi è questo scritto, che serva a illuminarvi nella via del dovere e vi dica quanto soffrì la nostra generazione.
Chiudo gli occhi; e rivedo le mie belle batterie, i nostri sacri morti: tutto ho qui dinanzi. Ma voi non dovete sapere quanto l’animo soffra nel ricordo. Questo solo sappiate, l’animo si rende pago del dovere compiuto, e guarda fidente all’avvenire vostro e di tutti gli uomini.
Panicagliora (Pistoia) agosto del 1931
Uliveto (Pisa) dicembre del 1931