Associazione culturale di rievocazione storica

Memorie di guerra di Menaldo Taccola – Puntata 21

Mi muovo, mi riscuoto per dimenticare. Ormai sono vicino al comando; ma vedo gente che si muove. Nostri o nemici ? Mentre indago con l’occhio, una raffica di mitraglia mi sfiora, e le foglie dell’albero che mi sovrasta cadono. Mi getto a terra come colpito, attendo, e dopo poco do un salto, e m’imbosco. Il mio compito è adempiuto. Vicino alla nostra linea un “chi va là” imperioso mi ferma. “Sono italiano – urlo – non mi vedete ?” “Presto, presto, entra dentro” mi gridano aprendo il passaggio obbligato. Appena io dentro, iniziano scariche di mitragliatrici sul nemico che avanza.
Le pattuglie erano rientrate prima di me senza che ci vedessimo. La sera era ormai scesa e il nemico tentava di nuovo un colpo di testa.
“Un momento solo di ritardo, mi dice il comandante dei mitraglieri, e lei era lesso. E’ andata bene, meglio così !”. Racconto la poco piacevole avventura al maggiore, il quale ora vorrebbe non fossi andato solo e, non avendo trovato le pattuglie, che fossi subito tornato indietro. E’ pieno di cortesie. Ma s’io fossi tornato dicendo: “Sa, non so nulla, non ho visto nulla”, come mi avrebbe accolto ?
Il buio era ormai completo. I rinforzi erano giunti in quantità. Che avremmo fatto ?
Stavamo per addormentarci, esausti, come sul tepido e soffice letto di casa nostra, quando viene un ordine al maggiore di portarsi a Selva per ricevere ordini.
Nel tempo che il maggiore è assente, il nemico attacca in forze. Razzi nostri e dei nemici salgono verso il cielo e ridiscendono con paracadute sulla terra che a sprazzi viene illuminata come di giorno. Ci viene dalla prima linea l’ordine di farci sotto, di serrare, perché gli assaltanti sono in molti e ripeteranno forse con ondate successive.
Stiamo lì, stretti, pronti a balzare al primo richiamo, a prender parte attiva alla mischia.
Ma l’intervento tempestivo dell’artiglieria e le raffiche delle mitragliatrici stroncano e fermano l’attacco nemico sulle linee di partenza.
Quanti morti. Quanti gemiti nella notte !
E il nostro fuoco di sbarramento prosegue insistente, rabbioso: ormai l’artiglieria ha ordine, accumulate le munizioni, di non sostare un minuto, di non dare più tregua al nemico. I fanti valorosi hanno retto, ma quale compito ha avuto, e come l’ha assolto, l’artiglieria ! Ha dovuto infatti, col suo tiro continuo e preciso, stroncare i rifornimenti, accecare gli osservatori, distruggere passerelle, bombardare le posizioni e i rovesci, gettare ovunque ferro, fuoco a tonnellate !
Subentra un po’ di calma e stiamo riordinandoci, quando un ordine scritto del maggiore ci chiama a Selva; salutiamo i colleghi che restano e a scaglioni partiamo.
Il nemico ora bombarda le retrovie, e sono salti, corse, battute a terra in tempo, per giungere giù a Selva senza inciampi.
Come fortuna vuole, giungiamo alla riserva ora ove troviamo l’ordine di proseguire immediatamente per dare aiuto a una batteria da 149 A che spara ormai dal 15 notte senza soste, che ha avuto perdite piuttosto forti, ed ha ufficiali ed uomini così stanchi che stan ritti per sola forza di volontà. Corriamo là, e anche prima di esserci, sentiamo che il tiro è lento, molto lento per dei 149 A.
Il capitano comandante e gli altri ufficiali danno le consegne, i dati di tiro, e via corrono a dormire con gli uomini più affaticati.
Acceleriamo subito il tiro. L’osservatorio ci dice che così va bene. A un tratto il telefono squilla imperioso. Che c’è ? Ordine di accelerare al massimo, ché truppe nemiche stanno passando il fiume e il nostro tiro è ben centrato e dannosissimo.
Il 149 diviene quasi un 75. Tanto spara che un pezzo salta in aria. Un servente morto e due feriti.
Telefoniamo al comando che è giuoco forza tirare con più calma, altrimenti salteranno tutti i pezzi. Una voce irosa, che poi si seppe essere quella di un generale, risponde: “Saltino pure tutti i pezzi, ne manderemo dei nuovi, ma intanto si seguiti il fuoco accelerato.”
Così sia. I serventi ammaestrati dalla disgrazia ora tirano la cordicella dalla riservetta. Della batteria resta un solo pezzo. Ma quale macello nel campo nemico ! L’osservatore è entusiasta e dice che la batteria ha compiuto un lavoro superbo.
Da quante ore teniamo il comando di questa batteria ? Chissà.
Chi si desta appare rinato. Solo chi ha provato quella stanchezza che fa preferire la morte sa il bene santo del sonno. Andiamo a nostra volta a riposare, dopo che abbiamo chiesto i pezzi di ricambio e che ci vien risposto che giungeranno a breve: ciò che fa arguire una preparazione e una previdenza che rinsalda.
La battaglia intanto langue; ci dicono che il nemico non ha più progredito, da un momento all’altro si aspetta l’ordine di balzare per inseguirlo.
Quest’ordine però si fa attendere. Più tardi si sarebbe detto che un ritardo di dodici ore dette al nemico la possibilità di ritirarsi senza pressione.
Certo il numero dei prigionieri sarebbe apparso scarso rispetto alla massa assalitrice; ma tanti furono i morti, sul terreno !
In ogni modo, quando l’ordine giunse e le truppe bramose della riconquista e sicure della vittoria si slanciarono avanti, furono trovate solo truppe di copertura, essendosi le altre già di molto ritirate.
Il nostro comando, comunque, ebbe ragione a dichiarar battaglia vinta al terzo giorno, quando il nemico inchiodato sulle prime linee, decimato, poté sentire il soldato d’Italia irremovibile, e il suo sogno fallito.
Avanziamo, coi fanti, verso il Piave, verso la nostra batteria, trovando vane isolate resistenze. Il tenente Bertoni ci precede; sarà infatti il primo a rientrare in batteria, di dove ci manderà un biglietto che inizia e termina con un “viva l’Italia”.
Trafelati ma felici raggiungiamo le nostre postazioni anche noi. Tutto è intatto. Solo, nelle bombarde, c’è della terra. Guardiamo con prudenza nelle caverne, nelle riservette, meravigliati di non trovar tutto distrutto. Nessuna rappresaglia, anzi, son nel prato ancora le casse di cottura da noi lasciate la mattina del 15, contenenti ancora il caldo brodo. Certamente l’han temuto avvelenato. E questo stesso timore concepiamo noi, da deciderci infatti a interrar tutto, il brodo e le belle fette di carne. I soldati borbottano un poco, poi si fan persuasi della buona ragione.

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