
Che cos’era il fuoco di contropreparazione ? Nei primi tempi della guerra, per l’offensiva, il nemico iniziava il suo bravo bombardamento, ammassava le truppe nei punti prestabiliti, tutto faceva senza che da parte nostra partisse un sol colpo d’artiglieria o di bombarda. Forse perché le munizioni e le bocche da fuoco allora scarseggiavano, esse andavano conservate per quando il nemico usciva dai nascondigli, dai ricoveri, dalle trincee. Ma quale vantaggio per il nemico, questo nostro indugio, poiché esso aveva tutto predisposto con tranquillità, e le sue truppe, ingagliardite dal loro fuoco, erano intatte dal nostro !
Questa volta le cose sarebbero andate diversamente, le bocche da fuoco c’erano in numero sufficiente, e così il nemico avrebbe saputo e sentito che cosa voleva dire ammassar truppe e prepararsi all’offesa sotto il fuoco terribilmente preciso dei nostri cannoni e delle nostre bombarde (Così avrebbero detto e confermato gli stessi nemici, e la battaglia del Montello resterà fulgida gloria dell’artiglieria e dell’arma dei bombardieri).
Ad ognuno era stato assegnato il proprio obbiettivo. I grossi calibri dovevano battere gl’incroci stradali più lontani nei quali si sapeva che doveva passare la truppa a piedi e in camion. I medi avevano strade e incroci dietro la prima e seconda linea. I piccoli calibri e le bombarde, le trincee di prima e di seconda linea dalle quali sarebbe partito l’attacco, e il greto del Piave. Così tutta la zona era stata ripartita in modo da sottoporla a un fuoco intenso, preciso, micidiale.
Mezzanotte era ormai trascorsa. Il silenzio era profondo, saliamo all’osservatorio, che certo non si può pensare a dormire. Gli uomini sono ai pezzi; hanno già messo la bomba nella bombarda, e sono pronti a iniziare fulmineamente il fuoco.
Guardiamo, ascoltiamo. Nulla. Un’infinita tranquillità, non un razzo, non una fucilata; si sentirebbe il più breve stormir di fronda, ma la natura dorme placidamente il suo sonno.
Restiamo così allucinati da quest’incanto, attaccati alla finestra che domina la zona del nostro tiro, senza più che respirare e tacere. Ma quanti pensieri nella mente, quali palpiti nel cuore !
Salvi, burlone, allora dice: “E se mangiassimo il salamino ?”.
Approvazione generale. Mandiamo subito in batteria a prendere quant’occorre per far onore al collega. Pane, salame, e caffè freddo ben dolce, la bibita preferita dei trinceristi.
Mangiamo come si può mangiare nell’età della giovinezza, anche in guerra, anche alle due di notte. E mentre ci lecchiamo le labbra, pensiamo quasi che l’offensiva sia per un’altra volta, quando un razzo si leva là nella piana di Sernaglia. E udiamo, subito dopo, i primi, e numerosi, colpi in partenza dalla parte nemica.
A capofitto, di corsa, ci precipitiamo sulla batteria gridando “fuoco!”.
Nell’osservatorio rimane un ufficiale collegato con noi per mezzo del telefono, per osservare il nostro tiro, che del resto è così bene inquadrato che potremmo continuarlo anche senza osservazione diretta.
Le prime bombe nostre son partite, e arrivano in batteria i primi colpi nemici, per fortuna non ancora bene aggiustati. “Fuoco, fuoco, ragazzi, e svelti !” grido.
Da quante ore facciamo fuoco ? Che cosa son divenuti questo monte, questo cielo, quest’aria ? Qual furia di demoni è scatenata sulla terra ? Non capiamo più nulla, così assordati dai colpi che partono e che arrivano. Per farci intendere, occorre urlare, correre da un pezzo all’altro.
La cima che ci defila è tutta crivellata, e così il fondo della dolina. Siamo con le bombarde postati a mezza costa, e questo farà la nostra salvezza, poiché i colpi corti restano in vetta o in cima, e i lunghi vanno giù nel fondo.
Spariamo, spariamo senza osta, e ormai siamo isolati da tutti, poiché il telefono non funziona e i guardafili non sono più tornati (imboscati o morti ?).
Mando ogni tanto dal capitano, il quale non sa nemmen lui che decidere: domando se hanno perdite e mi dice di no: ciò è un miracolo.
Parte una nuova salva di sezione, ma una bombarda scoppia: fruscìo di rottami, di schegge; la postazione è ridotta in rovina. Mi precipito al pezzo, ma, per fortuna, nessun morto o ferito: pochi minuti prima avevo obbligato i serventi – vedendo il riscaldamento esagerato delle bocche da fuoco – a tirar la cordicella stando nella galleria. Continuiamo il fuoco con una bombarda di meno.
Dal nemico ci vengono colpi più precisi, anzi uno cade in pieno nella piazzuola già distrutta, ormai abbandonata. Siamo proprio fortunati, protetti dal cielo ! Ma ecco un nuovo nemico: un aeroplano crociato di nero che si dirige su di noi e comincia a roteare proprio sopra la nostra batteria. Ci ha veduti, e ci segnala alla loro artiglieria; infatti, dopo pochi istanti, cominciano ad arrivar granate di gas asfissiante. Lunghe, le prime, si sfaldano là nel fondo della dolina, facendo un lieve colpo come di proietto che s’interri, ne esce il gas, aderente alla terra. Il tiro viene accorciato, e noi cominciamo ad aver in bocca del dolciastro, sicché comando di metter le maschere e spedisco avviso al capitano.
Ora piovono le granate. La valletta è piena di gas. Solo con la maschera possiamo salvarci, ma come avvilisce lo sparare col viso chiuso nella maschera ! Questa morsa che stringe il naso, questo “biberon” che solo ci dà la vita, questa nebbia che appanna gli occhiali, come tutto è noioso, irritante, demoralizzante !
Il nostro tiro, infatti, non ha più la celerità di prima. Dei serventi stanchi s’accasciano; manca l’aria pura che bonifica e che fa meno pensare, nel folto della battaglia, alla morte.
Quanto dureranno queste condizioni ? E i nostri aeroplani che fanno ? Ci lasceranno morire così miseramente, senza la gloria spavalda di poter morire urlando e correndo ?
A un tratto sentiamo, in mezzo al fragore dei colpi, un mitragliare rapido e secco. E’ un nostro caccia che si avvicina al nero crociato. Il nemico volge in fuga senza nemmeno tentar di resistere. Poi sapemmo che l’asso che ci aveva liberato era Baracca. Partito l’uccello nemico, cessarono le granate a gas, ma continuò il tiro a granate – mine e perforanti. Ma che sono queste in confronto del gas che annienta subdolamente ?
Appena diradato il gas, leviamo impetuosamente le maschere. E con rabbia, con ardore di vendetta, riprendiamo intensissimamente il tiro.
Non ho mai visto tiro così celere di bombarde. Gli uomini sono catapulte: saltano, corrono, caricano e sparano. E chi si occupa dei colpi che pure arrivano sempre numerosi ? Per noi, la battaglia è vinta.
Il tenente rimasto all’osservatorio è dovuto venir via perché la casa è presa d’infilata dalle granate e dalla mitraglia. Allora pensiamo: hanno gli austriaci passato il Piave ? Non possiamo crederlo, con tanto fuoco nostro. Isolati continuiamo nel nostro compito.