
Io chiedo di svernare in batteria. La scelta è buffa, lo so; ma io penso che sia bene non perdere le abitudini di guerra. E poi, io resto volentieri su queste montagne che amo.
Il tenente che è rimasto mi vuol molto bene, e così, fra qualche colpo che si tira, qualche gita che facciamo all’osservatorio, che ci costa fatica perché la neve sfonda, e non valgono le racchette, e la visita di qualche tormenta che c’infila la neve in tutte le fessure della baracca, l’inverno trascorre nella quasi assoluta quiete del settore.
Serate lunghissime, passate nella lettura e nel racconto nostalgico di fatti familiari, intorno alla stufa abbondantemente fornita: quante volte dimenticammo che si era in guerra, e che questa presente non era se non una sosta, dopo di cui la primavera ricondurrebbe la lotta ancor più tremenda!
Disgelo. I bucaneve fan capolino. La truppa che ha svernato a Verona ritorna soddisfatta della vita di guarnigione (tanto gravosa per me che so la vita di guerra) e dei divertimenti goduti.
Il capitano Caratti viene trasferito, con rammarico suo e nostro. A comandare la batteria viene il tenente Ricci, genovese, che mi ha già istruito da recluta, e che mi lascia al posto di fiducia datomi dal capitano, proponendomi, anzi, al corso allievi ufficiali che si svolge al fronte.
La cosa non mi sorprende, perché altri miei compagni di scuola sono già andati. Sento, però, quanta maggior responsabilità avrò da ufficiale, e quasi rifiuterei. Ma i miei genitori che direbbero ?… E la bimba sarà contenta o no ?
Scrivo, e, naturalmente, tutti son contenti, perché un po’ d’ambizione riman sempre, anche in tempo di guerra.
Son fatte le proposte per l’iscrizione al corso, ed è incluso il mio nome. Il tenente Ricci me lo comunica aggiungendo che il capitano non mi aveva ancora mandato perché gli facevo troppo comodo. “Tutto è egoismo, ed io che ti conosco a fondo ti vorrei con me, più degli altri; ma è più giusto che ti mandi, e che tu possa essere un buon ufficiale.”
Lo ringrazio commosso, e sento che partirò col desiderio di farmi onore anche nel nuovo, più difficile compito che gli eventi e la Patria mi assegnano.
Corso a Cima Campo, celere ma severo, lì vicino alla linea, senza distrazioni cittadine, senza svaghi, senza perdita vana d’energie…
In questo tempo scoppia l’offensiva nemica nel Trentino, l’offensiva del ’16, che raggiunse sensibili risultati e minacciò di sfondare tutte le linee e dilagare al piano.
L’eroismo dei difensori è grande, ma il nemico ci soverchia in potenza.
Con sforzi titanici si fa argine, ma quante le perdite di uomini e di terreno !
La mia batteria si è immolata anch’essa, sparando fino alla fine difendendosi poi coi fucili e le bombe a mano. Il tenente Ricci, l’eroico ufficiale dagli occhi chiari e buoni, dal profilo gentile, è caduto sul pezzo insieme coi serventi.
Gli artiglieri d’assedio, quadrati, robusti, calmi, al pezzo, sotto l’infuriare del bombardamento, si sono trasformati in fanti eroici, e hanno difeso l’arma fino allo spasimo, fino alla morte.
Il corso è finito. In grazie ad esso son vivo, ché certamente sarei caduto coi miei compagni di batteria, né mi sarei separato dal buon tenente Ricci. Ufficiale eroico e caro, che sapevi pretendere e ottener tutto dal soldato, perché lo comprendevi, lo amavi, e gli dimostravi il tuo cuore generoso, salve !
Sono promosso aspirante ufficiale. Gl’istruttori dicono che sono fra i migliori.
Al nuovo arduo compito so che deve corrispondere l’animo che non conosca titubanze e non senta la carne volenterosa di vita, so che deve corrispondere la volontà più ferrea; e che il volto, anziché tradire l’intima pena, dovrà far palese sempre la fede.
I soldati stanno, materialmente, peggio di noi. Hanno un vitto meno delicato, un letto assai men comodo: a che tali riguardi per noi, se non sappiamo tradurli in energia benefica pei nostri subordinati ? E ricordando di essere stati soldati sapremo comandare. Tanto meglio, se abbiamo già saputo ben obbedire.
Sono assegnato a una batteria d’assedio. Noviziato.
Il comandante mi accoglie paternamente. Egli è un tenente anziano, che ha moglie e figli, un di quelli che nel compimento sereno di tutto il proprio dovere hanno quell’accoratezza di sguardo che commuove e denota la cura paterna. Che differenza, infatti, tra la nostra spensieratezza ventenne e la calma sicura e tenace ma malinconica degli ammogliati ! Come più grande sarà il loro sacrificio !
Come d’uso, vien comunicato il mio nome, telefonicamente, al comando di Gruppo. Sono le sedici. Il tenente Papa comunica al ten. Colonnello Calcagno che andrò al comando per la presentazione di dovere l’indomani mattina. Ma appena trascorsi un dieci minuti, il telefono trilla, ordinando al tenente Papa di mandarmi al gruppo prima di sera.
Il tenente lascia il telefono e dà notizia dell’ordine dimostrandosi molto meravigliato, e quasi impensierito. “Ma hai fatto qualche cosa durante il viaggio, Taccola ?”. Rispondo di no, e che non so davvero che cosa possa significare questa chiamata. Penso, quindi, soltanto a ubbidire e a scendere. Mi spolvero, mi lavo, e via.
Il comandante del gruppo mi viene incontro sorridente. Salutone da parte mia, da novellino impacciato, con rigida messa sull’attenti. Egli mi stringe la mano, cordialmente mi dice di star comodo, e quindi inizia un fuoco di fila di domande: da dove vengo, se sono toscano, quanti anni ho, dove fece il militare mio padre, in quali anni, in quale arma, in quale città.
Io rispondo ciò che so, ma, francamente, non ci capisco nulla. Alla fine, il buon colonnello mi batte amichevolmente la mano sulla spalla ed esclama felice: “Tu sei il figlio del caporalmaggiore Taccola che era con me…, io allora ero tenente al… artiglieria da campagna, a Palermo, nel 1891 !”.
Sono stupefatto, ma anche orgoglioso, perché gli elogi che il colonnello fa di mio padre sono molti e sinceri. “Ecco dunque la buona sementa lasciata dai padri che germoglia nei figli !”.
Mi vuole alla cena di gruppo, e son gli episodi della giovinezza di mio padre e del tenentino Calcagno che fanno le spese della conversazione allegra e piacevole di tutta la sera.
Scrivo a mio Padre la strabiliante notizia ed Egli si mette in comunicazione col mio superiore, comunicazione e scritti pieni di rispetto ma tanto cordiali e affettuosi.