Associazione culturale di rievocazione storica

Memorie di guerra di Menaldo Taccola – Puntata 12

Così si fece. Ingombre erano le strade di soldati e di borghesi: fiumana che procedeva con una parvenza ancora di ordine. Ma alla confluenza della strada che menava giù l’armata della Carnia, la baraonda che apparve era indicibile. Mescolanza di reparti, primi abbandoni di materiale pesante, assenza di un ordine, e di una guida.

 

Che spettacolo, un esercito in ritirata !


Lasciammo allora i vestiari che avrei dovuto gettar nell’Isonzo, dopo aver fatto cambiare i soldati che avevano l’uniforme lacera e sporca, e anch’io lasciai le mie valige, rinunziando a ogni egoismo affettuoso (ogni ufficiale ha care le sue cassette), affinché la marcia di tutti fosse libera e spedita. Una sola valigina affidai al mio attendente, e il bravo me la perdette, che conteneva una rivoltella e i miei diari.
C’incuneammo a forza di spinte e d’imprecazioni nella folla che procedeva a sbalzi, come sospinta da una gigantesca molla operante a intervalli. Cominciammo a vedere sui margini della via cavalli morti e agonizzanti, carri di civili borghesi ribaltati, e anche soldati, che avidi, benché stanchi, arrostivano fette di carne tolta via a quadrupedi non ancora morti. Ognuno ormai faceva a suo grado.
Cominciarono a presentarcisi anche gli ubriachi, sconci nel loro parlare osceno, nella visione bestiale che la guerra fosse finita e che s’andasse a casa ! La materia aveva vinto lo spirito, i corpi si erano ribellati alla vita di sacrificio, di due anni e mezzo di guerra aspra, dura, tremenda.
Questi esseri che, a ripensarli, danno tanto disgusto, erano anche quei fanti che nei primi mesi s’erano dati a tagliare con le tenaglie arrugginite il fil di ferro spinato del nemico. E perché dunque sarebbero messi alla gogna come dei colpevoli ? Figli di popolo, non penetrati come le classi superiori dalle forze di una ragione nazionale e dai tanti motivi che potevano invogliar queste a una guerra, avevano lasciato madri, mogli, figli, loro sensibile vita.
E se pure una propaganda ci fu, tra essi, che volle distoglierli dal sacrificio, d’altra parte chi sperimenti la vita del vero eterno pericolo, e le stragi delle offensive, sa quale dolce parola fosse “pace”, quale allettamento fosse il pensiero di poter tornare subito a casa.
Distruggevano i frutti del loro stesso sacrificio eroico. E’ vero.

Ma chi sa che cosa fu loro promesso ?… se pur fu questa la causa forte del disastro…
Chi si trovò nel settore sfondato, non sa o non vuol dire, ma io credo che il disastro sia avvenuto per cause concomitanti, e prima fra tutte, credo, la reale efficienza dell’offensiva nemica.
Nella fiumana, anche carri di civili, di contadini, si mescolavano ai nostri traini di artiglieria e alla truppa. Sopra le molte e varie robe erano le madri coi loro piccini, con gli occhi spalancati alla scena nuova, inattesa, per noi tanto dolorosa. Un esodo come questo: abbandonare la terra: la casa a cui il contadino è naturalmente attaccato come ostrica allo scoglio, nella febbre della fuga, scegliere le cose più care, le più necessarie, e lasciare tutto il resto all’avidità del nemico !
Noto a un tratto l’assenza di Pescarmona. Dov’è ? domando fra i soldati vicini e mando uno a cercarlo.
Questo corre su e giù, s’affanna, ma non lo trova. Sarà stato “imbottigliato” in una strada laterale ? Lo attenderemo al passaggio del ponte, a Casarsa, che non è lontano.
E una volta passato il ponte – pensiamo tutti – chi ci sposterà di lì ? Chi darà al nemico la forza di passare il Tagliamento ? Non senza spinte, con qualche oscillazione davanti e dietro, eccoci finalmente al passaggio del fiume.
Si fa un certo ordine, degli ufficiali sollecitano la truppa al passo svelto, dopo lasciati i materiali che non è possibile tirar avanti.
Attendo Pescarmona, che tarda assai ad apparire: sicché corro indietro, preso dall’orgasmo di perdere anche i muli e gli uomini della riserva. Trovo l’aspirante fermo, bloccato da batterie di medio e piccolo calibro, che hanno piantato lì i pezzi, privati solo dell’otturatore. Che cosa fare ? Aver portato fino a pochi metri dal fiume le nostre gloriose bombarde, e doverle abbandonare: che pena !
Eppure l’ordine è questo, costi lacrime di sangue l’obbedire.
Fo staccare i muli, e presto al ponte. Nemmeno le bestie si vogliono lasciar passare, sicché noi dobbiamo cacciarle avanti con un po’ di destrezza.
Il Tagliamento è in piena, un vento gelido scende dalla montagna, e ci sferza il viso, durante la non breve traversata del ponte.
Appena di là, vediamo postati sull’argine uomini, mitragliatrici e cannoni. Respiriamo. Qui resisteremo e arresteremo la marcia del nemico baldanzoso.
Poche ore dopo il nostro passaggio, vien fatto saltare il ponte. Una scossa tremenda come di terremoto. Tutto è in aria, materia e uomini. Dura necessità della guerra.
Il buon Capitano Marucci, comandante dell’altra batteria del nostro Gruppo, ha, vicino a Casarsa, a soli 10-12 Km. di distanza, la fidanzata: ma ligio al dovere pur avendo nel cuore uno sgomento infinito, non lascia il suo posto.
Facciamo l’appello, non manca nessuno; abbiamo due muli in più. Soddisfazione di aver tratto in salvo tutta la truppa. E in attesa di ordini, gli uomini si rimettono un po’, cercano riposo nei vicini cascinali, ove trovano pure della polenta calda. Ma giunge l’ordine che ci meraviglia. Rimetterci subito in marcia… Di nuovo, dunque, in ritirata: e dove ci fermeremo ? Ormai non resta che il Piave, prima di arrivare al cuore della Patria, e di tutto perdere senza più speranza. Ma il Piave, più ristretto del Tagliamento, senz’opere di difesa, senz’appostamenti, potrà fermare il nemico irrompente ?
Mancavano le opere di difesa, è vero, ma non mancò il cuore: e quando il combattente, benché stremato dalla guerra, dai digiuni, dalla ritirata, capì ciò che il nemico voleva, cioè: “la resa in ginocchio”, si ribellò, si apprestò con nuovo animo alla difesa, e disse “basta!”. Quindi il miracolo, dopo la parentesi oscura, la luce nelle tenebre !
A Susegana, a Ponte della Priula, non si crede che abbandoniamo la difesa del Tagliamento. Una povera maestrina ci domanda consiglio, se le convenga restar o venir via; la consigliamo di venir via. Due Dame della Croce Rossa, intanto, ci preparano un brodo squisito fatto con carne di scatolette; e mai brodo fu, e sarà, più buono di quello gustato dopo dieci giorni di pasta asciutta.
Passiamo il ponte diretti in Treviso nostro quartier generale.
Sappiamo che si resterà sul Piave a qualunque costo, e questo ci calma un poco.
Ora marciamo in ordine. Io ho la febbre, causata da una tonsillite acutissima, dalle notti che ci siamo stesi sfiniti sui prati senza una coperta, senza un cappotto, e senza un riparo. Ho anche i piedi piagati del lungo cammino senza soste. Ma che importa ?

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